Nata a Milano nel 1969, laureata in Storia e critica del cinema, Paola Risoli lavora attraverso scultura, fotografia, video, documentario, segno e parola.
Nata a Milano nel 1969, laureata in Storia e critica del cinema, Paola Risoli lavora attraverso scultura, fotografia, video, documentario, segno e parola. Un’ampia pluralità di linguaggi per una narrazione sull’umano, sui vissuti delle vite degli altri: spaccati, spesso, di marginalità.
Inizia dagli Interiors, proposti da subito in fiere internazionali (Art Basel, Artissima 1994). Sono interni di abitazioni, isolati urbani periferici, luoghi emotivi vuoti di figure, ma abitati spesso da volti “appesi” in forma di icona, sguardi colti dai film di Jean-Luc Godard, Alain Resnais, Wim Wenders, Pedro Almodóvar, Shirin Neshat. Li costruisce con scarti, in scala ridotta, dentro contenitori improbabili (taniche per carburanti, vecchi televisori, barili di oli combustibili). Li colora con il bianco e nero del cinema, o con i contrasti densi delle pellicole di Jean-Pierre Jeunet. Li definisce “inquadrature tridimensionali”, lavori di necessità, costruiti in urgenza, con niente. Ambienti che sono storie, in cui l’occhio di chi guarda si fa regia.
Dal 2000 la narrazione acquisisce i mezzi della fotografia, del video, delle proiezioni da webcam, in anni più recenti del cinema indipendente. Con il documentario salda la ricerca individuale al lavoro trentennale di integrazione tra arte e disagio, condotto attraverso progetti con donne vittime di violenza e persone vulnerabili, per dipendenza da alcol e sostanze psicoattive, o per fragilità mentale.
Il lavoro è documentato su stampa nazionale, cataloghi, riviste (Tema Celeste, Segno, Artribune, Arte).